N.B. Questo è un commento che Giuseppe Bucalo non ha potuto mettere, per motivi tecnici, al post "Atti Conferenza n° 1". Lo pubblichiamo qui come post, dandogli il titolo con cui Bucalo ce l'ha inviato.
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Roma maggio 2010. Siamo tornati al punto di partenza. Il tempo sembra sospeso, quando gli interlocutori rimangono lontani dal fragore della realtà.
Di nuovo tutte le posizioni e le vie sono praticabili. Chiunque voglia esprimere il proprio disagio rispetto all'imperante logica psichiatrica può scegliere le sensibilità espresse dall'uno o l'altro dei gruppi/persone di riferimento del panorama che impropriamente si autodefinisce "anti" o "no" o "trans" psichiatrico, a seconda delle proprie sensibilità.
Ciò che mi aspetto di "nuovo", è che, con la maturità, si riesca a confrontarsi su idee e pratiche senza innescare guerre di religioni o scomuniche.
Siamo diversi, abbiamo obiettivi e strategie diverse. Senza creare gerarchie o rivendicare verità assolute, va pur detto che la kermesse del Telefono Viola di Roma, così come pensata e realizzata da Alessio, è in perfetta sintonia e continuità con la sua esperienza. E' una strada chiara la sua, pericolosa a mio modo di vedere, perché tutta giocata su un'ambiguità che toglie smalto, forza e concretezza all'azione, ma che è parte pur sempre di una strategia a cui riconosco un senso e una dignità.
Io la riassumerei così. Per far si che il discorso antipsichiatrico abbia diritto di cittadinanza nel mondo della comunicazione sociale questo si deve fare in qualche modo “accademico”, proporre metodi e approcci di intervento validati dal punto di vista professionale (gruppo analisi, metodo della salute, programmazione neurolinguistica …), portato avanti da operatori e personalità riconosciute. Ieri come oggi, Alessio, sembra accarezzare l’idea di “formare” operatori e un metodo di intervento antipsichiatrici.
Aspirazione legittima. La stessa che ha mosso Ronald Laing quando cominciò a parlare di metanoia quale metodo per viaggiare attraverso la follia, ma che fa dire a Szasz, in una delle sue critiche più azzeccate, che in realtà l’antipsichiatria di Laing non sia altro che l’altra faccia della psichiatria. Perché? Semplice. Perché nel riproporre una terapia, una qualsiasi terapia, si rinnova il pregiudizio di una patologia/disagio, di uno specifico psichiatrico e soprattutto di un sapere separato o specialistico che debba affrontarlo.
In direzione ostinata e contraria noi in Sicilia abbiamo legato la nostra pratica alla costruzione di un sapere dal basso, senza specialismi e senza mai abdicare a teorie e pratiche "pseudoterapeutiche" seppur alternative a quelle psichiatriche. Per noi è sempre stato chiaro che la coercizione della psichiatria sta nel nostro credere che possano esserci professionisti della mente, dei sentimenti, delle emozioni. Abbracciare o creare una qualsiasi teoria sulla follia e sul modo di affrontarla, vuol dire farne ancora una cosa, un oggetto di intervento, vuol dire accomunare storie e persone che nulla hanno in comune, se non il giudizio/diagnosi che su di loro viene espresso da esperti.
Nella relazione introduttiva, che leggo solo ora visto il mio ritardo, Alessio fa una gerarchia dei referenti teorici e pratici dove, tolto il riferimento doveroso a Giorgio Antonucci (citato per il metodo di approccio dialogico), si parla dell’Istituto Gruppoanalisi per il Sociale che fra gli altri meriti ha quello di aver “suggerito al Primario Girardi e agli operatori della salute mentale di Nuoro,” uno strumento culturale “che abbiamo chiamato "Analisi ecoantropologica dei vissuti personali", oppure di Programmazione Neurolinguistica che sarebbe “ben compatibile con l'approccio non psichiatrico di Thomas Szasz e Giorgio Antonucci”, se non fosse che l’Oxford English Dictionary ci informa che essa è “un sistema di terapia alternativa basato su questo che cerca di istruire le persone all'autoconsapevolezza e alla comunicazione efficace, e a cambiare i propri schemi di comportamento mentale ed emozionale”.
Sul fronte pratico il nuovo (vecchio) telefono viola delineato da Alessio continua a pensare che vanno cercati punti di contatto con le istituzioni della psichiatria democratica, così come con il mondo delle comunità alloggio e della cooperazione sociale che ne è organico rappresentandone la cosiddetta faccia presentabile.
Una scelta chiara, a mio avviso, un’ipotesi dignitosa ma che ieri come oggi rischia di essere inutile e di svuotare ancora di più la forza, la chiarezza e l’incisività delle nostre posizioni. Dal mio punto di vista la posizione di Alessio produce paradossalmente gli stessi effetti delle posizioni radical-ideologiche (dure e pure) che ancora coinvolgono diverse realtà del campo antipsichiatrico italiano. La mediazione sistematica, proposta da Alessio, smorza e rende irriconoscibile la nostra lotta, il mero produrre slogan, fare terrorismo mediatico, lanciare scomuniche senza alcun collegamento con la pratica quotidiana, svuota la nostra capacità di coinvolgere le comunità e i singoli in questo movimento di liberazione.
Credo che il fatto che il Comitato, nato nel 1986 a Furci Siculo, sia riuscito ad attraversare l’ultimo ventennio continuando a produrre e sperimentare azioni, sviluppando pratiche e permettendo a decine di esseri umani di fare a meno della psichiatria, nasca dall’aver da subito rinunciato alle velleità ideologiche e aver accettato di confrontarsi con tutti alla pari, senza cadere nella tentazione di elaborare teorie sulla follia o riconoscere a se stessi o ad altri competenze che solo gli individui hanno (e devono avere).
Abbiamo mostrato che si può realizzare nella pratica qualcosa di “abbastanza” antipsichiatrico senza dover scendere a patti con le istituzioni psichiatriche, senza confondere o rendere irriconoscibile la nostra posizione e le nostre idee, senza dover rivendicare una sorta di competenza altra, senza tirare in ballo specialisti e specialisti, senza fermarci alla critica dell’esistente.
E’ chiaro che l’attività di Telefono Viola, cioè la difesa legale dagli abusi psichiatrici, può doppiare realtà di tutela già esistenti (il Tribunale dei diritti del Malato, Cittadinanza Attiva, associazione di consumatori ….) o essere altro proprio per il riferimento ad un’idea libertaria e antipsichiatrica. Questo impone la ricerca di strategie e modelli di intervento specifici che non possono essere quelli della controperizia e della presa in carico da parte dello psichiatra/psicologo libertario di turno (a meno che questo non venga usato in maniera strumentale).
Quanto di utile e rivoluzionario il Telefono Viola di Roma riuscirà a fare, a mio avviso, sarà legato a quanto più accetterà il rischio di andare oltre il “cortile” ideologico e rassicurante che Alessio ha disegnato e proverà a far proprio il patrimonio di idee, strategie e anche sconfitte che il movimento antipsichiatrico ha prodotto in questi ultimi ventanni.
Imparare dalla propria storia è il primo imperativo per non ripetere all’infinito gli stessi errori.
Giuseppe Bucalo
Associazione Penelope
Di nuovo tutte le posizioni e le vie sono praticabili. Chiunque voglia esprimere il proprio disagio rispetto all'imperante logica psichiatrica può scegliere le sensibilità espresse dall'uno o l'altro dei gruppi/persone di riferimento del panorama che impropriamente si autodefinisce "anti" o "no" o "trans" psichiatrico, a seconda delle proprie sensibilità.
Ciò che mi aspetto di "nuovo", è che, con la maturità, si riesca a confrontarsi su idee e pratiche senza innescare guerre di religioni o scomuniche.
Siamo diversi, abbiamo obiettivi e strategie diverse. Senza creare gerarchie o rivendicare verità assolute, va pur detto che la kermesse del Telefono Viola di Roma, così come pensata e realizzata da Alessio, è in perfetta sintonia e continuità con la sua esperienza. E' una strada chiara la sua, pericolosa a mio modo di vedere, perché tutta giocata su un'ambiguità che toglie smalto, forza e concretezza all'azione, ma che è parte pur sempre di una strategia a cui riconosco un senso e una dignità.
Io la riassumerei così. Per far si che il discorso antipsichiatrico abbia diritto di cittadinanza nel mondo della comunicazione sociale questo si deve fare in qualche modo “accademico”, proporre metodi e approcci di intervento validati dal punto di vista professionale (gruppo analisi, metodo della salute, programmazione neurolinguistica …), portato avanti da operatori e personalità riconosciute. Ieri come oggi, Alessio, sembra accarezzare l’idea di “formare” operatori e un metodo di intervento antipsichiatrici.
Aspirazione legittima. La stessa che ha mosso Ronald Laing quando cominciò a parlare di metanoia quale metodo per viaggiare attraverso la follia, ma che fa dire a Szasz, in una delle sue critiche più azzeccate, che in realtà l’antipsichiatria di Laing non sia altro che l’altra faccia della psichiatria. Perché? Semplice. Perché nel riproporre una terapia, una qualsiasi terapia, si rinnova il pregiudizio di una patologia/disagio, di uno specifico psichiatrico e soprattutto di un sapere separato o specialistico che debba affrontarlo.
In direzione ostinata e contraria noi in Sicilia abbiamo legato la nostra pratica alla costruzione di un sapere dal basso, senza specialismi e senza mai abdicare a teorie e pratiche "pseudoterapeutiche" seppur alternative a quelle psichiatriche. Per noi è sempre stato chiaro che la coercizione della psichiatria sta nel nostro credere che possano esserci professionisti della mente, dei sentimenti, delle emozioni. Abbracciare o creare una qualsiasi teoria sulla follia e sul modo di affrontarla, vuol dire farne ancora una cosa, un oggetto di intervento, vuol dire accomunare storie e persone che nulla hanno in comune, se non il giudizio/diagnosi che su di loro viene espresso da esperti.
Nella relazione introduttiva, che leggo solo ora visto il mio ritardo, Alessio fa una gerarchia dei referenti teorici e pratici dove, tolto il riferimento doveroso a Giorgio Antonucci (citato per il metodo di approccio dialogico), si parla dell’Istituto Gruppoanalisi per il Sociale che fra gli altri meriti ha quello di aver “suggerito al Primario Girardi e agli operatori della salute mentale di Nuoro,” uno strumento culturale “che abbiamo chiamato "Analisi ecoantropologica dei vissuti personali", oppure di Programmazione Neurolinguistica che sarebbe “ben compatibile con l'approccio non psichiatrico di Thomas Szasz e Giorgio Antonucci”, se non fosse che l’Oxford English Dictionary ci informa che essa è “un sistema di terapia alternativa basato su questo che cerca di istruire le persone all'autoconsapevolezza e alla comunicazione efficace, e a cambiare i propri schemi di comportamento mentale ed emozionale”.
Sul fronte pratico il nuovo (vecchio) telefono viola delineato da Alessio continua a pensare che vanno cercati punti di contatto con le istituzioni della psichiatria democratica, così come con il mondo delle comunità alloggio e della cooperazione sociale che ne è organico rappresentandone la cosiddetta faccia presentabile.
Una scelta chiara, a mio avviso, un’ipotesi dignitosa ma che ieri come oggi rischia di essere inutile e di svuotare ancora di più la forza, la chiarezza e l’incisività delle nostre posizioni. Dal mio punto di vista la posizione di Alessio produce paradossalmente gli stessi effetti delle posizioni radical-ideologiche (dure e pure) che ancora coinvolgono diverse realtà del campo antipsichiatrico italiano. La mediazione sistematica, proposta da Alessio, smorza e rende irriconoscibile la nostra lotta, il mero produrre slogan, fare terrorismo mediatico, lanciare scomuniche senza alcun collegamento con la pratica quotidiana, svuota la nostra capacità di coinvolgere le comunità e i singoli in questo movimento di liberazione.
Credo che il fatto che il Comitato, nato nel 1986 a Furci Siculo, sia riuscito ad attraversare l’ultimo ventennio continuando a produrre e sperimentare azioni, sviluppando pratiche e permettendo a decine di esseri umani di fare a meno della psichiatria, nasca dall’aver da subito rinunciato alle velleità ideologiche e aver accettato di confrontarsi con tutti alla pari, senza cadere nella tentazione di elaborare teorie sulla follia o riconoscere a se stessi o ad altri competenze che solo gli individui hanno (e devono avere).
Abbiamo mostrato che si può realizzare nella pratica qualcosa di “abbastanza” antipsichiatrico senza dover scendere a patti con le istituzioni psichiatriche, senza confondere o rendere irriconoscibile la nostra posizione e le nostre idee, senza dover rivendicare una sorta di competenza altra, senza tirare in ballo specialisti e specialisti, senza fermarci alla critica dell’esistente.
E’ chiaro che l’attività di Telefono Viola, cioè la difesa legale dagli abusi psichiatrici, può doppiare realtà di tutela già esistenti (il Tribunale dei diritti del Malato, Cittadinanza Attiva, associazione di consumatori ….) o essere altro proprio per il riferimento ad un’idea libertaria e antipsichiatrica. Questo impone la ricerca di strategie e modelli di intervento specifici che non possono essere quelli della controperizia e della presa in carico da parte dello psichiatra/psicologo libertario di turno (a meno che questo non venga usato in maniera strumentale).
Quanto di utile e rivoluzionario il Telefono Viola di Roma riuscirà a fare, a mio avviso, sarà legato a quanto più accetterà il rischio di andare oltre il “cortile” ideologico e rassicurante che Alessio ha disegnato e proverà a far proprio il patrimonio di idee, strategie e anche sconfitte che il movimento antipsichiatrico ha prodotto in questi ultimi ventanni.
Imparare dalla propria storia è il primo imperativo per non ripetere all’infinito gli stessi errori.
Giuseppe Bucalo
Associazione Penelope
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