Saluto di Giorgio Antonucci e presentazione del Centro di Relazioni Umane di Bologna di Maria D'Oronzo
Vi porto il saluto di Giorgio Antonucci che, come ha già riferito Alessio Coppola, non può essere presente per motivi di salute e leggerò un brano dal libro di Antonucci "Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri" ed Spirali, pp. 64-67.
“Un piccolo sogno mi ha riempito di gioia e la luna sembrava una palla di fuoco".
Nella notte di guardia che restò con me, Luca Bramanti seguì con attenzione tutti gli avvenimenti e si interessò ai miei interventi.
Mi seguiva in silenzio nei passaggi veloci da una parte all'altra dell'istituto dopo ogni chiamata, e andavamo in automobile o a piedi secondo le distanze o l'urgenza.
Fui chiamato quasi nello stesso tempo per due uomini in pericolo di vita per crisi acute da infarto, e una terza volta per un uomo in gravi condizioni per emorragia cerebrale.
Dovevo provvedere alle cure immediate e all'eventuale ricovero nel vicino ospedale civile, però i reparti non erano attrezzati per il pronto soccorso e il personale non era preparato e spesso non era nemmeno capace.
Chiedevo le medicine indispensabili per ogni occasione e necessità e gli infermieri e le infermiere trafficavano negli armadietti e nei carrelli senza riuscire a trovarle.
Spesso telefonavano in altre sezioni per trovare altri infermieri più capaci e attrezzati.
Per fortuna avevo con me un pronto soccorso che mi ero procurato apposta per ogni possibile evento.
Solo gli psicofarmaci si trovavano dappertutto in abbondanza.
Durante gli interventi mi venivano annunciati per telefono nuovi internamenti in arrivo.
Dovevo riflettere sul modo di revocarli e intanto dovevo preparare gli argomenti per convincere il giorno dopo il direttore.
Come ho già detto, solo dopo la nuova legge del maggio 1978 avrei potuto annullare i ricoveri coatti per conto mio come medico di guardia senza bisogno di ricorrere ad alcuna autorizzazione gerarchica.
All'arrivo dell'ambulanza dovevo discutere con la persona interessata e con la polizia e a volte predisporre la permanenza provvisoria fino al giorno successivo.
Alcuni infermieri insistevano senza risultato perchè io controfirmassi alcuni provvedimenti di contenzione fisica che i medici del giorno avevano lasciato in sospeso per l'attività notturna del medico di guardia.
All'inizio gli infermieri non riuscivano a capire come era possibile che io fossi contrario a qualunque tipo di contenzione e a qualsiasi intervento di limitazione delle libertà.
Altri volevano che io sottoponessi i pazienti a iniezioni endovenose di psicofarmaci segnate in cartella dagli altri medici. Spiegavo al personale che le iniezioni endovenose di psicofarmaci erano dannose e a volte potevano mettere il paziente in pericolo di vita.
Perfino Cotti, che si dichiarava contrario agli psicofarmaci, mi aveva invitato a fare le iniezioni se erano prescritte dagli altri.
Il giorno dopo dovevo discutere con gli altri medici che mi accusavano di sabotare le loro terapie.
Io non avevo nessuna intenzione di danneggiare i ricoverati per compiacere i colleghi o per seguire le regole dell'istituzione.
Cotti si preoccupava di mediare con gli altri medici che volevano che io mi adattassi, ma in quella situazione le mediazioni non servivano a nulla se non a favorire la quiete.
Però aveva anche intrighi e interessi in comune con gli amministratori dell'ospedale e con i politici dei partiti, che erano contrari a qualsiasi cambiamento e a tutte le novità, come succede nelle burocrazie di potere.
Lo stesso era accaduto negli anni precedenti, quando lavoravo a Reggio Emilia, e Giovanni Jervis mi aveva detto che secondo lui era inutile che io evitassi i ricoveri in manicomio delle persone dei centri della montagna che dipendevano da me, quando poi succedeva che gli altri medici, quando io ero assente, prendevano decisioni differenti.
Ricordo che una volta a Castelnuovo nei Monti passai la notte con un uomo ubriaco, per evitargli il ricovero che era già stato deciso e prescritto.
Ho sempre lavorato con rivoluzionari molto rispettosi delle autorità.
A Reggio Emilia, per la mia chiara indipendenza e per il mio rapporto diretto con la popolazione, prima di essere licenziato e allontanato, fui accusato di essere uno spontaneista, seguace di Rosa Luxemburg.
All'alba di quella lunga notte ebbi una discussione molto difficile con una persona del reparto quattordici che, influenzata dai discorsi del personale e dalle pressioni dei medici, pretendeva di essere di nuovo legata nel letto per sentirsi tranquilla e per riuscire a addormentarsi.
Dopo quella esperienza notturna così avventurosa, Luca Bramanti non venne più a Imola per diversi mesi, e il suo lavoro rimase incompiuto per moltissimo tempo.
Poi mi ha raccontato che si era spaventato assai.
Io stesso ho sempre vissuto le notti di guardia all'istituto con forti preoccupazioni e con molta fatica.
In quelle notti si concentravano tutte le contraddizioni”.
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Due parole sulla mia attività che svolgo a Bologna nel Centro di Relazioni Umane, di cui sono fondatrice e coordinatrice.
Mi occupo delle vicende, abusi e pratiche della psichiatria, dal 1993. Da quando per un lavoro con l'Università di Padova, dove studiavo psicologia, ho cercato e trovato, dopo vari tentativi, un reparto-aperto, il reparto Autogestito di Imola all'ospedale psichiatrico Lolli, diretto dal dottor Giorgio Antonucci. Sono rimasta a fianco del dottor Antonucci, nel reparto, fino alla fine del suo lavoro istituzionale. Il dottor Antonucci lascia Imola nel 1996.
La prima cosa che mi è stata chiara, in questa esperienza, era il fatto che dovevo buttare alle ortiche tutto quello che all'università mi avevano insegnato, tutto quello che avevo studiato. Dovevo ricominciare completamente daccapo.
Iniziando dal linguaggio. Iniziando a parlare di dolore personale, di sofferenza interiore e non più e mai di malattia mentale; di modalità di linguaggi differenti e mai più di terapia; di contrasti e contraddizioni personali e sociali, di conflitti sociali e mai più di deliri. Dovevo abbandonare il linguaggio pseudoscientifico che altro non è che il linguaggio del potere; esso serve ad allontanare i familiari e il contesto umano dall'assistito che diventa "oggetto" dell'istituzione di segregazione e isolamento.
Durante l'esperienza all'Autogestito di Giorgio Antonucci ho imparato a dare sostegno a quelle persone che volontariamente vogliono smettere gli psicofarmaci. E' interessante la lingua inglese che usa il termine "psichiatric drugs": perchè questo sono a livello tossicologico. Queste sostanze hanno un'azione sul nostro cervello uguale a qualsiasi altra sostanza "di strada" alle droghe illegali...
Domanda: Si sbaglia, non può dire che gli psicofarmaci sono droghe..
Risposta: E' corretto: a livello tossicologico...
Domanda: Mio figlio con la terapia sta calmo, quando smette i farmaci ha la ricaduta.
Risposta: Voglio essere precisa. Io non tolgo gli psicofarmaci. Ma posso dare sostegno a chi volontariamente vuole sospenderli. Inoltre non ci sono "ricadute" perché, come dicevo prima, non c'è alcuna malattia. Allora, spiego cosa succede. Lo psicofarmaco serve per sedare, per legare come una camicia di forza chimica il nostro cervello, parlo dell'organo. Quando allentiamo questa presa, per la disintossicazione, tutti i nostri pensieri ritornano in modo chiaro. Gli stessi pensieri che avevamo prima dell'assunzione degli psicofarmaci e che forse, ma non è sicuro, solo la lobotomia ci fa perdere.
Lo psicofarmaco non è selettivo, non toglie alcuni pensieri per lasciarne degli altri, lo psicofarmaco seda l'organo cervello: questo significa che il pensiero con l'assunzione dello psicofarmaco trova una barriera "per farsi pensiero". Con la disintossicazione questa barriera diventa sempre più labile per cui i pensieri e quindi le conseguenze delle riflessioni, contraddizioni che hanno portato 10-20-40 anni prima a chiedere aiuto ad uno specialista per trovare una modalità di vita non conflittuale tra noi e il mondo ritornano prepotentemente alla coscienza, per cui siamo ancora più disperati. Non solo lo psicofarmaco non cura, ma una volta che il cervello si è liberato, e i tossicologi vorranno scusarmi se uso termini così banali, di tutta la chimica, siamo attraversati dagli stessi conflitti per cui avevamo chiesto aiuto la prima volta.
Per quanto riguarda l'emozione le cose sono ancora più complicate perché per effetto della chimica si perde il contatto, la familiarità con l'emozione. Quindi una volta usciti dall'intossicazione chimica, farmacologica dello psicofarmaco ci si ritrova ad avere a che fare con emozioni e sentimenti che non ri-conosciamo. A cui non sappiamo dare un nome. Tutta la sfumatura della tavolozza emotiva ci è sconosciuta. E' come avvertire dentro di noi un vulcano di emozioni. Torniamo esseri senzienti.
Quindi questo "ritorno", a cui si riferisce la signora nella sua domanda è bibliografia e letteratura scientifica.
Dopo il primo periodo di disintossicazione, un periodo di durata differente da persona a persona, ognuno a seconda del proprio organismo, abbiamo di nuovo gli stessi pensieri e conflitti che il nostro psichiatra voleva sedare, cambiare e quindi ci ritroviamo nello stesso conflitto per cui avevamo chiesto aiuto nel passato.
Io mi occupo di queste cose. Di dare informazioni e dare sostegno per superare queste situazioni passeggere, per ritornare ad essere "padroni" della propria vita.
Per quanto riguarda il Centro di Relazioni Umane di Bologna abbiamo un sito (www.antipsichiatria-bologna.net).
Nella pagina dei Contatti del sito, si trova un numero di telefono oltre alla mail.
Il servizio telefonico è aperto 24h, per dare informazione gratuita di difesa (anti)psichiatrica, cioè informazione legale sui trattamenti sanitari obbligatori e informazioni sugli psicofarmaci. Ad es. molto spesso ricoveri volontari vengono trattati come obbligatori.
Il Centro di Relazioni Umane di Bologna nasce dall'idea di Edelweiss Cotti di trasformare il 1° reparto psichiatrico al mondo, presente nell'ospedale civile di Cividale del Friuli, in Centro di Relazioni Umane. Il nostro obiettivo è un cambiamento della cultura per tutte le famiglie, per tutti i cittadini, per tutte le persone che si trovano in una situazione di sofferenza interiore o di conflitto relazionale-familiare-condominiale ovvero sociale e voler trovare delle soluzioni altre rispetto all'isolamento, alla coercizione, all'allontanamento psichiatrico; di voler ascoltare le ragioni di tutti per trovare un accordo tra tutti per una convivenza di reciproco rispetto. Grazie
Maria D'Oronzo
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